Prof. Ugo Bardi
Docente di chimica presso l’Università di Firenze, si occupa di rifiuti da molti anni. È stato consulente della Prefettura di Napoli per la crisi dei rifiuti, come pure del Ministero dell’Ambiente. È autore di molteplici studi sulla gestione dei rifiuti a livello nazionale e globale.
Non c’è cosa più infamata e disprezzata al mondo della parte organica dei rifiuti domestici. La parte che puzza del sacchetto, quella che tende a formare liquidi immondi, quella che attira insetti, topi, batteri, e altre creature orribili. Insomma, il peggio del peggio, l’essenza del concetto di “rifiuto” che viene da una parola latina che vuol dire “buttar via.”
Eppure, il rifiuto organico è la parte più utile del rifiuto domestico. È quella parte che può essere trasformata completamente in un prodotto utile senza bisogno di trattamenti complicati e costosi. Confrontate, per esempio, con la plastica: riciclare la plastica è un incubo. Richiede tecnologie complicate e il risultato non è mai così buono come la plastica originale (si chiama “downcycling” – “riciclaggio verso il basso”).
Invece, dal riciclo della frazione organica si ottiene “compost” che è un ottimo fertilizzante e substrato per la coltivazione. Se il compost è fatto bene, non esiste il problema del “downcycling.” Se lo fate partendo, per esempio, dagli scarti dei pomodori, lo potete utilizzare per coltivare pomodori altrettanto buoni di quelli originali. Ci potete anche fare un “ammendante,” ovvero un materiale che migliora le caratteristiche fisiche del suolo, e anche un substrato per coltivare funghi commestibili.
Purtroppo, il compost ha una cattiva fama, più che altro sulla base dei vecchi metodi dei contadini e i loro cumuli di letame. In effetti, non era roba profumata. Ma il compost, di per sé non puzza. Anzi, è un prodotto naturale, e madre natura non ama lo spreco, che è invece una caratteristica delle cose puzzolenti. Fatevi due passi in un bosco. Specialmente se è appena piovuto, sentite un odore che è difficile da descrivere in parole, ma che tutti conosciamo. È un odore piacevole, che alcuni trovano addirittura inebriante. Ed è l’odore dell’attività dei batteri e dei funghi impegnati a compostare foglie e tutto quello che c’è di organico al suolo.
Ma noi umani non siamo altrettanto bravi dei batteri a compostare la materia organica, specialmente quelli di noi che vivono in città. Se qualcuno abbandona un sacchetto della spazzatura per terra in una strada, in breve tempo si genera un odore nauseabondo. Vi ricordate la crisi dei rifiuti di Napoli dei primi anni del 2000? Ecco, era successo proprio quello, ma su larga scala. Il risultato era che i batteri “buoni” non avevano la possibilità di fare il loro mestiere ed erano rimpiazzati da batteri meno buoni che, nel decomporre la materia organica tiravano fuori molecole odorose di vario tipo, fra le quali per esempio la “putresceina” che capite bene dal nome che non è una cosa piacevole da annusare.
D’altra parte, è anche vero che noi umani possiamo imparare. E stiamo imparando come gestirci meglio la parte organica dei nostri rifiuti domestici. È una storia che comincia molto tempo fa, quando i rifiuti non venivano considerati un problema e, anche in città, molte famiglie avevano piccoli orti e appezzamenti di terra. Non c’era plastica fra i rifiuti domestici: era tutto materiale organico che si poteva smaltire semplicemente sparpagliandolo in giardino, oppure facendo dei piccoli cumuli di compost. Ma, con gli anni, tutto è cambiato. Gli spazi per orti e giardini sono diminuiti e, soprattutto, la composizione dei rifiuti è cambiata. I rifiuti oggi contengono sostanze che non si potrebbero sparpagliare in giardino sperando che spariscano da sole, per esempio la plastica.
Circa un secolo fa, le grandi città hanno cominciato a mettere in opera dei sistemi municipali di raccolta dei rifiuti. All’inizio, i cittadini buttavano tutto nei bidoni della spazzatura, il tutto veniva caricato su dei camion puzzolenti e poi scaricato alla rinfusa dentro delle discariche a cielo aperto. Il risultato era un disastro di robaccia inquinante, maleodorante, e che poteva inquinare le falde freatiche con i liquami che la decomposizione produceva.
Col tempo, si è cominciato a fare di più e di meglio. Oggi, la raccolta differenziata ha enormemente migliorato le cose. Si cerca di separare la frazione organica dei rifiuti domestici per compostarla in impianti centralizzati, oppure trasformarla in energia in forma di biogas. Indubbiamente una cosa buona, ma rimane molto da migliorare. La frazione organica dei rifiuti domestici è oggi intorno al 40% del totale. Di questi, solo circa la metà viene compostata. Altre frazioni vanno all’incenerimento o alla produzione di biogas, ma rimane una frazione importante che finisce nell’indifferenziato a renderlo puzzolente.
Insomma, si può e si deve migliorare. Soprattutto, uno dei problemi principali del compostaggio centralizzato è la piaga del “conferimento improprio”. Molta gente non ha idea di come funzioni il compostaggio, non capisce la differenza fra organico o inorganico, e butta di tutto nei cassonetti dell’organico. Quando questo materiale arriva all’impianto, ci si trova di tutto. Alcuni rifiuti impropri possono essere filtrati, per esempio se c’è dentro un paio di scarpe. Ma la plastica, il metallo, e altre cose, finiscono spezzettati negli impianti di trattamento e, fatalmente, riemergono nel compost nella forma di pezzettini di materiale che non è compost. Nella peggiore delle ipotesi, il compost non può essere utilizzato come tale e va a finire in discarica come compost non a specifica.
Come possiamo migliorare? L’idea è di partire dall’inizio della catena di trasformazione. Se si parte da un materiale migliore – ovvero ben selezionato – allora tutto il processo è più semplice è il risultato è di buona qualità. Una linea possibile è la raccolta porta-a-porta dove il cittadino può essere guidato a selezionare meglio i propri rifiuti. Ma forse meglio ancora è l’idea di incoraggiare il compostaggio domestico con investimenti specifici da parte delle Amministrazioni centrali e/o periferiche (Regioni, Province, Comuni).
In un certo senso il compostaggio domestico è un ritorno a quello che si faceva 100 anni fa, quando ognuno compostava i propri rifiuti a casa propria. È una cosa che già le aziende municipalizzate stanno facendo, incoraggiando i cittadini a compostare fornendo gratuitamente piccole compostiere domestiche in plastica o altri materiali e facendo sconti sulla tassa sui rifiuti per chi lo fa. La frazione di rifiuti compostata in questo modo, però, rimane molto piccola, al massimo qualche percento del totale. Questo è dovuto a vari fattori. In primo luogo, si può fare solo se uno ha un giardino: può anche essere piccolo, ma non può essere microscopico. Poi, questi bidoni da compostaggio sono poco efficienti, funzionano solo in estate, attirano insetti e altri animali, possono anche emettere cattivi odori se non sono gestiti bene e si possono utilizzare solo all’aperto (giardini e/o orti).
Grazie alla tecnologia la soluzione potrebbe essere un’altra. Ormai da almeno un decennio in Oriente, Cina e Giappone, si usano comunemente dei “compostatori elettrici.” Sono macchine ben più evolute e sofisticate dei bidoni da giardino. All’interno, il sistema controlla e mantiene costante sia l’umidità come la temperatura, assicurando condizioni ottimali per il compostaggio. Oggi fortunatamente il mercato offre soluzione tecnologiche decisamente avanzate che non puzzano, non sono rumorosi, non attirano insetti, e sono abbastanza piccoli e con designed veramente gradevoli da poter essere facilmente inseribili in qualsiasi arredamento di cucina o anche su un piccolo balcone. Il fatto di essere gestiti a livello familiare evita il conferimento improprio: nessuno butterebbe un paio di scarpe vecchie dentro il proprio compostatore, come del resto non le butterebbe dentro la pentola del lesso!
Questi impianti vanno benissimo anche a livello condominiale, oppure a livello di piccola azienda, per esempio un bar o un ristorante. In questo caso, richiedono un minimo di supervisione per evitare che qualcuno rovini tutto buttandoci dentro qualcosa di sbagliato. Per esempio, la comune segatura ha la capacità di avvelenare i batteri “buoni” che lavorano per noi. Non va assolutamente messa nel compostatore! Lo stesso per la plastica detta “biodegradabile” che non è detto affatto che lo sia. Imparare a fare del buon compost è un po’ come imparare a cucinare. Ci vuole un po’ di tempo e, le prime volte, può capitare di bruciare l’arrosto.
Questi nuovi compostatori elettrici, ormai completamente automatizzati sono parte della tendenza all’elettrificazione di tutti i servizi domestici. Mentre una volta usavamo fornelli a gas, adesso si usano a induzione. E lo stesso per il riscaldamento, che oggi tende a essere fatto usando pompe di calore elettriche. I compostatori elettrici usano piccole potenze. Sono bene isolati, quindi poche decine di Watt sono sufficienti per mantenere la temperatura interna a circa 40°C, mentre solo ogni tanto il sistema mette in moto l’asta di mescolamento, arrivando a consumare qualche centinaio di Watt. Sono anche sistemi che si sposano bene con il fotovoltaico domestico. Nel futuro, è probabile che saranno gestiti in modo tale da funzionare solo quando l’energia fotovoltaica è disponibile. In questo modo peseranno zero sulle spese energetiche delle famiglie.
Ma, alla fine dei conti, perché uno dovrebbe mettersi un dispositivo del genere in casa? C’è più di una ragione. La più semplice è lo sconto sulla tassa sui rifiuti. Un altro vantaggio è che non avrete più bisogno di andare in giro con sacchetti di roba puzzolente, oppure di tenerveli in casa aspettando il giorno della raccolta. Poi, se avete un giardino o un piccolo orto, o se avete qualche amico o parente che ce l’ha, vedrete che il compost che producete è un vero toccasana per ortaggi e fiori. E se avete dei vasi da fiori, potete divertirvi a fare l’“orto a sorpresa”. Sparpagliando un po’ di compost sulla superficie del vaso, i semi degli ortaggi che avete compostato germoglieranno, producendo di nuovo pomodori, peperoni, e zucchine. Provateci!
Un nuovo stile di gestione sostenibile… il Compostyle, un nuovo stile di vita che mette tra le proprie priorità la sostenibilità ambientale e la tendenza a cercare di ridurre le emissioni inquinanti utilizzando prodotti riciclati e riutilizzabili e cosa meglio del Compost lo è? Vera economia circolare.
Prof. Ugo Bardi
Docente di chimica presso l’Università di Firenze, si occupa di rifiuti da molti anni. È stato consulente della prefettura di Napoli per la crisi dei rifiuti, come pure del Ministero dell’Ambiente. È autore di molteplici studi sulla gestione dei rifiuti a livello nazionale e globale.